Può succedere un giorno che la vita vi faccia cadere così rovinosamente da ritrovarvi a terra in mille pezzi. Credetemi, può succedere.
Così come può succedere che un giorno la vostra tazza da tè preferita vi cada dalle mani e voi vi ritroviate a guardarne i cocci sparsi sul pavimento. In questo caso molto spesso soltanto due strade vi sembrano percorribili: la prima vi porta a gettare la tazza nella pattumiera, la seconda vi porta a conservarla comunque, pur già sapendo che probabilmente non la userete mai più.
Esiste una terza strada.
L’antichissima arte giapponese del kintsugi consiste nel riparare gli oggetti con l’oro in modo da non nascondere le rotture, bensì enfatizzarle e rendere l’oggetto più prezioso oltre che unico.
Ci può volere molto tempo per riparare un oggetto. Prima si uniscono i frammenti con un sottile strato di lacca Urushi, la più preziosa di tutto l’Oriente, derivata dalla resina di un albero che cresce soltanto in Giappone, poi si ricopre la lacca con polvere d’oro ed infine la si brunisce con una pietra d’agata.
Così come si può scegliere di riparare la tazza con questa tecnica, così si può decidere di rialzarci da terra e curare le nostre ferite con polvere d’oro, in modo che le nostre cicatrici diventino uniche e preziose e ci rendano persone più forti e più belle.
Ho intitolato questo articolo: “Kintsugi: una parola che cura” perchè a volte mi succede che il solo pronunciarla abbia su di me un effetto terapeutico e mi piace pensare che possa aiutare anche qualcuno di voi.