Negli anni Cinquanta il fumettista modenese Paul Campani creò una serie di celebri vignette che avevano come protagonista l'”Omino coi baffi” e si concludevano sempre con lo slogan: “Eh sì sì sì…sembra facile (fare un buon caffè)”.
In questo articolo vi racconterò come Alfonso Bialetti ideò la moka e come non sia facile ma assolutamente possibile fare il più buono dei caffè.
E’ l’Italia degli anni Trenta a fare da sfondo alla storia di Alfonso Bialetti e della sua famiglia.
Siamo in Piemonte, precisamente a Crusinallo, un affascinante paese che sorge all’estremità settentrionale del lago d’Orta. Corre l’anno 1933.
Alfonso Bialetti ,45 anni, è seduto sulla sua sedia impagliata e guarda fuori dalla finestra sua moglie Ada intenta a lavare i panni.
Ada è infastidita dallo sguardo indagatore del marito. Sono settimane che non appena si mette nel giardino a fare il bucato subito sente su di lei gli occhi del marito. Si chiede cosa gli frulli già di nuovo per la testa. A volte la raggiunge nel prato, le si avvicina, studia ogni suo movimento. E cosa sono tutti quegli scarabocchi? In casa volano fogli di carta a decine. A volte Alfonso si alza dal letto in piena notte, si muove piano per non svegliare Ada e i due figlioletti, ma lei lo sente comunque .<<Cosa fai Alfonso a quest’ora?>>. <<Dormi Ada,, ho delle idee in testa, voglio fare un po’ di esperimenti>>.
Cosa attraeva così tanto la curiosità di Alfonso? La Lisciveuse, ossia quella specie di pentolone in cui si lavavano i panni con la liscivia, un detergente naturale molto efficace ricavato dalla cenere.
Il pentolone veniva posto su una fonte di calore e l’acqua, bollendo, risaliva attraverso un tubo posto al centro del contenitore e, ricadendo sulla liscivia, la diffondeva sugli indumenti.
Alfonso decise di applicare lo stesso principio al caffè e grazie alle sue doti creative e alla sua esperienza creò la sua prima Moka.
( Il nome Moka le fu dato però solo negli anni Cinquanta dal figlio Renato. Mokha è infatti una città dello Yemen in cui da secoli si coltiva la migliore qualità di caffè, in particolare della pregiata qualità arabica. La leggenda narrava che capre e cammelli, dopo aver mangiato quelle bacche di caffè’ acquistassero vigore, per cui Renato si auspicava che la bevanda scaturita dalla caffettiera di suo padre potesse dare slancio agli italiani dopo gli anni della guerra).
Renato, grazie alle sue grandi doti imprenditoriali e comunicative, diede alla sua Moka un successo planetario.
La Moka quindi funziona proprio come una Lisciveuse:
La fiamma sotto la caffettiera non riscalda solo l’acqua ma anche l’aria sovrastante che si lascia riempiendo la caldaia.
All’innalzarsi della temperatura l’aria aumenta la propria pressione ed espandendosi inizia a spingere l’acqua che risale nel filtro, bagnando il caffè.
La fuoriuscita del caffè comincia quando l’acqua è circa a 70 °C. Contemporaneamente le particelle di caffè, assorbendo parte dell’acqua, si gonfiano, diminuendo progressivamente la porosità del caffè stesso e richiedendo una pressione e una temperatura più elevate dell’acqua per poter risalire la colonnina.
La temperatura ottimale dell’acqua dovrebbe essere attorno a 90-93 °C
A temperature superiori infatti vengono estratte anche componenti aromatiche indesiderabili, che portano note astringenti e bruciate.
Quando il livello d’acqua nella caldaia scende al di sotto del beccuccio del filtro, inizia quella che possiamo chiamare la fase vulcanica. La riduzione immediata di pressione manda in ebollizione istantanea l’acqua che, mista al vapore, esce sfiatando dalla caffettiera, spruzzando come fosse un vulcano
Questa fase andrebbe quindi evitata assolutamente e l’ebollizione ritardata il più possibile.
Per questo motivo è consigliato un fuoco basso in modo che la temperatura possa innalzarsi gradualmente. La cosa più saggia da fare sarebbe spegnere il fuoco prima che inizi la fase vulcanica. Si otterrebbe così meno caffè ma di qualità superiore.
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Come si è evoluta la moka dagli anni Trenta ai nostri giorni?
Forse non tutti sanno che gli storici stabilimenti della Bialetti, costruiti nel 1919 da Alfonso, furono poi venduti nel 1927 a Giovanni Alessi, fondatore della storica azienda, e sono tuttora sede delle Industrie Alessi. Nel 1933, anno di invenzione della moka, Alfonso infatti aveva aperto un’altra attività proprio per produrre la caffettiera.
E un’altra cosa che non molti sanno è che, nel 1945, Alfonso Bialetti e Giovanni Alessi divennero consuoceri. Germana infatti, figlia di Alfonso, sposò Carlo Alessi.
Nel 2010 però gli stabilimenti storici della moka Bialetti hanno chiuso i battenti e quindi, purtroppo, da quell’anno le caffettiere Bialetti non sono più prodotte in Italia.
L’azienda Alessi, dopo avere superato una grande crisi, fortunatamente tiene duro, rimane in Italia e continua ad affidare ai più grandi designers la creazione delle sue Moka d’autore, sempre ispirandosi però alla Moka di Alfonso Bialetti.
La nuova nata Alessi, presentata in occasione della Design Week a Milano nell’aprile di quest’anno, si ispira proprio alla prima Moka Bialetti. Ha 11 lati e un coperchio piatto ed è frutto della creatività del designer David Chipperfield. Prodotta in alluminio proprio come l’originale, si distingue anche per l’ampiezza della base che favorisce la trasmissione del calore, per il pomolo posizionato lateralmente per consentire di alzare il coperchio anche con una sola mano, ma soprattutto per il manico spostato verso l’esterno per far sì che non possa fondersi a contatto con la fiamma.
Si può dire che Alessi abbia davvero voluto dare un omaggio al nonno e alla sua Moka.
Già nel 2011 Alberto Alessi, figlio di Germana Bialetti e di Giovanni Alessi, oggi a capo della storica azienda di famiglia, aveva dichiarato :“Questa “Moka Alessi” è un omaggio al mio nonno materno Alfonso Bialetti”, riferendosi alla Moka disegnata da Alessandro Mendini,” ...ho chiesto ad Alessandro di far nascere un nuovo progetto di caffettiera provando a mettersi nei panni del nonno e di interpretarne la geniale invenzione attraverso un uso più consapevole delle leve del design contemporaneo”.
Nel 2015 il designer Michele de Lucchi ha creato per Alessi, in collaborazione con “Illy Caffè” la Moka “Pulcina”.
La sua caldaia sferoidale interrompe l’erogazione della bevanda al momento giusto, prima che il caffè acquisti un retrogusto amaro, in modo da ridurre il cosiddetto “effetto stromboliano” di cui vi parlavo prima. Con la “Pulcina” si ottiene un caffè praticamente perfetto.
Nel tempo grandi artisti hanno disegnato per l’Alessi le più belle Moka diventate in gran parte icone di design conosciute in tutto il mondo .
Ne è un esempio illustre la caffettiera “9090” disegnata da Richard Sapper che, nel 1979, ha vinto il “Compasso d’Oro”, il più importante riconoscimento di design a livello mondiale, e ha fatto sì che un oggetto Alessi per la prima volta entrasse nella “Permanent Design Collection”del MoMa di New York .
Nel 1984 Aldo Rossiha disegnato quel capolavoro che è la sua caffettiera “Conica“, in acciaio inossidabile con il fondo in rame:
E nel 1988 ha continuato a stupirci con la sua “Cupola” in alluminio pressofuso:
Nel 2016 è l’architetto siciliano Mario Trimarchi ad ottenere il massimo riconoscimento ed ha portare a quota 10 i “Compassi d’Oro” collezionati dall’Alessi con la sua Moka “Ossidiana”,una caffettiera che sembra davvero scolpita nella pietra.
Curiosità:
Nel 2013 una Moka è entrata nel Guinness dei Primati: si tratta della Moka 100: ha potuto produrre 1200 tazzine di caffè’ in poco più di tre ore.
E per finire lo sapevate che le ceneri dell'”Omino coi baffi” Renato Bialetti, morto nel 2016 all’età di 93 anni, sono conservate in una grande moka e tumulate nella tomba di famiglia al cimitero di Omegna ?